martedì 8 dicembre 2009

L’ETICHETTA CON IL BURQA

Si fa un gran parlare di etichette chiare, di tracciabilità della filiera, di trasparenza degli ingredienti, di consapevolezza nella scelta, di sicurezza per il consumatore. Tutti, politici, portavoce, portaborse, portaacqua si vantano di aver fatto qualcosa per l’olio, ma alla fine se andiamo a guardare bene la sua etichetta ci accorgiamo che niente è migliorato, anzi. Per rendersene conto basta fare un giro al supermercato e prendere in mano qualche bottiglia d’olio. Vi si legge “Olio Extra Vergine”,“Olio d’Oliva”, “Olio di Sansa e d’Oliva”. Ora poi c’è scritto anche che l’Olio è stato “ottenuto da olive coltivate in Italia e frante in Italia”, o che è “100% Italiano”, con la utilissima precisazione, si fa per dire, che quello è “olio di categoria superiore perché ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”. Ma da dove dovrebbe provenire quell’olio, dalle ciliegie ? Quanti consumatori sa cosa celano le diciture Extra Vergine, Olio di Olive, Olio di Sansa e d’Oliva. E poi ci rassicura che le olive siano state coltivate in Italia e frante in Italia ? In Italia saremmo dunque tutti onesti ? E olio di categoria superiore a chi ? Ora provate a leggere le informazioni su una scatola di latte, o di biscotti, o di una famosa cioccolata spalmabile. Sono dettagliatissime, con proteine, carboidrati, grassi saturi, grassi idrogenati, colesterolo, calcio, sodio, polialcol. Addirittura sui bicchierini di un pronto c’è la percentuale dei polifenoli. Ma poi quanto dovremmo bere per avere il loro effetto antiossidante ? Roba da girare con i pannoloni. Insomma tutte le etichette straboccano di informazioni, anche inutili, tranne quella dell’olio. Si potrà ribattere che “Extra V ergine” significa acidità inferiore allo 0,8 %. Ma il consumatore vuol sapere esattamente quanta è, per fare il confronto al momento dell’acquisto; si dirà che “Olio d’Oliva” vuol dire che l’acidità di quell’olio è inferiore al 2 %. Ma il consumatore deve anche sapere che l’ Olio d’Oliva era originariamente un olio“lampante”, cioè “non per uso umano” e che è stato prima rettificato e poi “riaggiustato” per la vendita. Molti pensano che “olio d’oliva” sia la “seconda” spremitura delle olive e non invece il prodotto di un intervento poderoso di chirurgia estetica chimico-fisica. Infine il consumatore compra “Olio di Sansa e di Oliva” ma non sa che esso è stato ottenuto addirittura dai solventi tipo trielina o peggio esano. Il consumatore vuol sapere quanto quell’olio che intende acquistare sia migliore di un altro e se sta spendendo bene i suoi soldi. Su una bottiglia di vino almeno trova scritto il grado alcolico ed empiricamente può dare maggiore o minore valore alla bottiglia. Dell’olio non si deve sapere niente. Ma perché ? Perché se un produttore scrivesse in etichetta che il suo olio eccellente ha  500 mg/kg di polifenoli totali e 300 mg/kg di Vitamina E, entrambe potentissimi antiossidanti naturali, commetterebbe il reato di Concorrenza Sleale. Ma concorrenza sleale contro chi ? Insomma la legislazione dell’olio, concepita e varata dove l’Ulivo non cresce, costringe a nascondere la qualità sotto un burqa e ciò penalizza i bravi produttori di tutto il mondo. In modo trasversale si nega la libera scelta, si scoraggia la qualità, si favorisce la circolazione di “olietti” che così si appropriano di dignità che non hanno. E allora ecco spontanea la domanda finale: cui prodest l’etichetta con il burqa ? 
Gino Celletti

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